Teodoro Matteini

Matteini Teodoro

Pistoia 1754 / Venezia 1831

Painter
Biografia

da A.M. Comanducci

Nato a Pistoia il 10 maggio 1754, morto il 15 novembre 1831. Dal padre Ippolito Matteini, che dipinse quadri e figure in chiese e palazzi della sua città e nel palazzo Forteguerri soggetti tolti dal «Ricciardetto», ebbe i primi insegnamenti dell'arte. Nicolò Forteguerri, canonico, aiutò il giovane Teodoro perchè andasse a Roma, dove fu allievo di Domenico Corvi e di Pompeo Batoni. Compiuti gli studi, ebbe commissioni importanti: quella, tra le altre, di due quadri per la chiesa di San Lorenzo in Lucina. Chiamato a Firenze da Ferdinando III nel 1794, dipinse "Angelica e Medoro", il più famoso dei suoi quadri, divulgato dall'incisione di Raffaello Morghen e venduto in Inghilterra. Per incarico del Granduca passò poi a Milano, ove strinse relazione con Giuseppe Bossi e con Andrea Appiani sr, e nel 1800 trasse dal Cenacolo Vinciano il disegno che servì alla stampa del Morghen e che fu dunque anteriore alle copie e agli studi che di quella pittura fece lo stesso Bossi. Dopo una dimora di qualche anno a Bergamo, dove lavorò parecchio, si stabilì a Venezia. Nel 1807, nominato, per suggerimento di Antonio Canova, insegnante di elementi e di pittura a quell'Accademia, fu maestro di Francesco Hayez, Giovanni Demin, Odorico Politi, Lodovico Lipparini, Cosroe Dusi, Giovanni Andrea Darif, Sebastiano Santi, Michelangelo Grigoletti. Occupato dall'insegnamento e continuando a far disegni di quadri a servizio degli incisori a Venezia dipinse poco: qualche copia degli antichi, pochi soggetti storici o sacri d'invenzione, vari; ritratti nei quali rappresentava spesso i personaggi su fondi ameni e con attributi simbolici. «Deferente al Canova scrive Nino Barbantini nel Catalogo della Mostra del Ritratto Veneziano dell'Ottocento— Proclamando la necessità di studiare soprattutto i Greci e che la base precipua della pittura è il disegno, fu considerato ai suoi tempi come l'iniziatore a Venezia della nuova scuola, cioè della reazione classica contro il sopravvivere del settecentismo. Ma più che dai Greci imparò dai Francesi e dagli Inglesi del suo tempo, specialmente il gusto del ritratto decorativo e fantastico, piacevole per le qualità gentili della composizione più che per i pregi intrinseci del colore, che spesso è terreo e opaco, o per quelli del disegno, debole e scorretto. Le sue figure, vagamente pensose e somiglianti non rivelano in lui il classico che gli altri e forse egli stesso ritennero che fosse, ma piuttosto un precursore del Romanticismo». Fra le sue opere si citano il "San Giovanni Battista nel deserto", a Bergamo, "La predicazione di San Bernardino" a Perugia; e i ritratti del "conte Guglielmo Bevilacqua"; del "conte Widmann"; del "conte Quarenghi"; della "contessa Quarenghi".




 

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