Opere di questo autore


Antonio Fontanesi

Fontanesi Antonio

Reggio Emilia 1818 / Torino 1882

Pittore, Incisore, Decoratore
Biografia

da A.M. Comanducci ediz 1962

Nato a Reggio Emilia il 23 febbraio 1818, morto a Torino il 17 aprile 1882. «Dotato di indole straordinariamente vivace, crebbe in seno alla famiglia fino al momento di poter frequentare le scuole, indi, nel suo quattordicesimo anno, avendo mostrato una spiccata disposizione pel disegno, entrò alunno nelle Scuole Comunali di Belle Arti di Reggio, ove non tardò a provare la forza e la prontezza dell'ingegno, facendosi anche notare per la molta volontà e trovandosi specialmente favorito dagli insegnamenti premurosi del suo professore Prospero Minghetti, il quale gli fu piuttosto padre amorevole, che maestro... Appena uscito dalle scuole, incoraggiato dal buon Minghetti e spinto dal bisogno, cominciò, benché giovanissimo, ad assumere lavori di decorazione murale per appartamenti di famiglie agiate, eseguendo medaglioni di fiori, di figure, di paesi, coprendo soffitti e grandi pareti di sale anche con ornati, prospettive architettoniche e vedute pittoresche» (da Marco Calderini). I suoi primi importanti lavori furono i pannelli del Caffè degli Svizzeri a Reggio, che poi vennero ritirati in casa del proprietario del locale sig. Tognoni e incorniciati come veri quadri. Nel 1847 si recò a Torino, poi fu a Genova e a Milano, ma in queste città la sua attività di patriota, di soldato volontario prima sotto Luciano Manara e poi sotto Garibaldi, ha più notorietà di quella artistica. Nel 1850 fu a Ginevra e con l'amicizia, sebbene interessata, del parigino Vittorio Brachard, conquistò notorietà dignitosa e crescente, e buoni compensi. Fino al 1867 scorrazzò la Svizzera, la Francia, l'Inghilterra scendendo di frequente in Liguria e svolgendo la sua attività principalmente in lavori all'acquaforte, in litografia, a carbone, a pastello, all'acquerello e dando lezioni. Nel 1867 l'artista si recò a Firenze e vi eseguì, nello studio di Cristiano Banti, "Tramonto sull'Arno", attualmente presso quell'Accademia di Belle Arti e "Il lavoro della terra", già nella Galleria del comm. Paolo Ingegnoli. Nel 1868 venne nominato direttore e insegnante nell'Accademia di Lucca e l'anno seguente si trasferì a Torino per assumere l'insegnamento, all'Albertina, nella scuola di paesaggio, appena istituita. Dopo sette anni di valoroso e amoroso insegnamento ad una schiera di devoti ed entusiasti discepoli, si recò a Tokio per insegnare in quell'Accademia e vi rimase fino al settembre del 1878. Ristabilitosi a Torino, lavorò con nuovo impeto e rinnovata passione, ma la sua salute era scossa, ed egli si spense dopo quattro anni durante i quali aveva alternato le speranze alle depressioni, lasciando un gran numero di opere oggi giustamente riconosciute imperiture, la maggior parte delle quali figurarono alla Mostra postuma di Torino nel 1932. Nel complesso di queste opere il Fontanesi ha dimostrato di non avere assecondato ne moda, ne industria, volendosi contendere con la natura per il suo piacere e non per l'altrui. Per questo ebbe in arte dei nemici e degli indifferenti, ma non gli mancarono anche in vita i riconoscimenti e le esaltazioni. Nella citata Mostra postuma del 1932 furono riunite ed esposte nelle sale del Museo Civico di Torino, 436 opere del Fontanesi, fra quadri ad olio, acquerelli, disegni a carbone e incisioni che sarebbe impossibile elencare e delle quali si rammentano le più note: "Il mattino"; "Pomeriggio"; "Il mulino"; "La quiete"; "Pascolo a Creyes", "Radura"; "Pastorella"; "In solitudine"; "Donna al fonte"; "Strada solitaria"; "Le nubi"; "Il lavoro"; "Vespero"; "Sulla soglia"; "Aprile"; "Tramonto sullo stagno"; "La stalla"; "Il ponticello"; "Il bagno"; "Sera"; "Estate nel Delfinato", "Casa in Giappone"; "Casolare a Rivoli", che con moltissimi altri quadri, studi e schizzi ad olio, acquarello, ecc. appartengono al Museo Civico di Torino; "Le nubi"; "Sul Lago di Ginevra" e "Bosco di Lemano", proprietà del conte ing. gr. uff. Adriano Tournon di Torino; "L'armento", già nella Galleria del comm. Paolo Ingegnoli di Milano; "Ritorno dal pascolo"; "Ritorno dai campi"; "Idillio"; "Ricordo di viaggio"; "Stagno lungo il Mugnone"; "Fontana nei pressi di Signa"; "Crepuscolo sul Mugnone"; "La primavera"; "Dopo il meriggio"; "Nel cascinale"; "Fiori", ed altre pregevoli opere nella raccolta del comm. Lorenzo Delleani di Carignano; "Il guado", proprietà del signor Luigi Cora di Torino; "Campagna con mandrie un'ora dopo la pioggia", collocata a Palazzo Pitti a Firenze; "Mattino d'ottobre", nella Galleria d'Arte Moderna di Roma con altre due opere; "Strada a Creyes", proprietà del cornm. Vittorio Basso di Milano; "La strada dei campi", nella Pinacoteca di Torino; "Aprile", nella raccolta del comm. Mario Rossello di Milano; "Altacomba", proprietà del gr. uff. Antonio Bianchi di Torino; "Tramonto sul Lago Lemano" presso gli eredi del pittore Marco Calderini; "Pecore al pascolo (Dellinato)", nella racc. di A. Toscanini, "Chiavica presso Optevoz", nel Municipio di Cuneo; "San Paolo di Londra", presso il gr. uff. Edoardo Rubino di Torino "L'abbeveratoio", nella Pinacoteca di Bologna. Pregevoli le acqueforti e litografie. Di queste ultime si hanno: "Venti vedute svizzere", pubblicate nel Musée Suisse di Ginevra 1854-1855 e poi riunite in volume: "Promenade pittoresque" Ginevra 1856 (indi riprodotte nel 1914 nel volume "La Genève des Genévois"). Alla XXVI Biennale Veneziana (1952) fu allestita una importante mostra postuma, presentata da Roberto Longhi con scelte opere fra le più caratterisctiche.

Enrico Somarè presentava sulla sua rivista l'«Esame» un magistrale "Nudo di donna", opera firmata, rarissimo esempio di dipinto di figura di questo grande artista.

 

 

da Le Biennali di Venezia - Esposizione 1901

di Marco Calderini

Di famiglia popolana e povera, nacque a Reggio Emilia nel 1918. Si avviò alla pittura giovanissimo, sotto Prospero Minghetti, nelle scuole comunali di disegno della sua città nativa. Impara l'arte con grande facilità, potè presto trarne compenso per vivere e studiare, lavorando per circa quindici anni in Reggio stessa, a fare decorazioni, scenografie, qualche ritratto e molte vedute di paese. Insegnava anche l'arte e il suo ideale d'allora era un posto di maestro nelle scuole ove aveva studiato. Non avendolo ottenuto, spinto anche dai suoi spiriti, liberali e patriottici che gli facevano aborrire la dominazione estense, verso il 1847 emigrò a Torino. Nel 1848, si arruolò nei Volontari modenesi, accorse a Milano e fu ascritto alla Legione Manara. Coi Corpi garibaldini partecipò alle incursioni allo Stelvio e alla campagna finale del Varesotto, rifugiandosi poi nel Canton Ticino, col massimo numero di quei militi. Visse a Lugano e nei dintorni tutto il 1849 e parte del 1850, dipingendo, dando lezioni e frequentando i patrioti esuli. Le insigni relazioni di quel tempo sostennero il suo coraggio e gli procurarono altre conoscenze non meno utili e illustri a Ginevra, ove si stabilì prima che finisse il 1850. Il periodo di Ginevra durò circa 15 anni, alternando con frequenti corse di studi nel Canton Ticino, nella Svizzera tedesca, in Liguria, in Savoia e nel Delfinato. Lavorò allora molto in litografie ed acque forti e diede lezioni di continuo. Ma nel 1859 i suoi indomiti spiriti militanti non gli permisero di starsene a dipingere « mentre i suoi fratelli andavano a battersi »,e rinunziando ad un tratto alle comodità, ai lucri, all'arte, partiva per Torino, ove pregava e scongiurava per più di un mese il Ministro della Guerra affinché lo lasciasse arruolare per recarsi al campo. Ebbe in quell'occasione accoglienze cordialissime dal Cavour e potè finalmente vestire la divisa e partire per la Lombardia. Ma le vicende della guerra e della politica facevano poi dirigere il suo battaglione (comandato da Massimo d'Azeglio) a Bologna, ove, senza aver mai occasione d'essere mandato a qualche cimento, il paesista soldato si dolse per mesi e mesi di condurre la monotonia e incruenta vita della guarnigione. Fatta la pace, sciolti quei reggimenti dell'Emilia e nell'imminenza dei plebisciti, congedato, dopo eterne incertezze, anche il sottotenente Antonio Fontanesi, egli se ne tornò a Ginevra e quasi subito dopo nel Delfinato, per una campagna non più militare ma di studi pittorici, sul vero, fra compagni e amici, i quali già avevano imparato a considerare con interesse e con rispetto il suo impegno. Nella Svizzera, oltre le relazioni di uomini politici e scienziati, oltre la consuetudine col gran mondo cosmopolita che procurava al Fontanesi anche l'incoraggiamento della Granduchessa Maria Nicolaewna e le lezioni al Principe Alfredo d'Inghilterra, di poi Duca regnante di Sassonia Coburgo) oltre una posizione onoratissima e lucrosa, l'artista italiano aveva pure trovato fra i colleghi indigeni e francesi di passaggio il modo di allargare la sua maniera di innestare sul romanesimo ristretto del suo maestro Minghetti il frutto degli esempi nuovi e il sentimento di quella grande scuola detta del '1830, di cui l'Esposizione veneziana raccoglie ora alcuni splendidi saggi. Questo beneficio fu specialmente fecondo per lui dopo sentita la forte influenza di quella colonia estiva che ogni anno si aggruppava appunto nel Delfinato, prima intorno al Charles François Daubigny, indi intorno a Francois Auguste Ravier, lionese, nobile poeta del paesaggio, che non tardò a farsi intimissimo col pittore emiliano. Le nuove relazioni indussero il Fontanesi a tentare le Mostre di Parigi, ove fu assai bene accolto, recandovisi poi a studiarle e ricevendo il cordiale incoraggiamento di Camille Corot, Constant Troyon e Eugene Formentin. Non ebbe però la sorte di vendere e deciso a rinunziare ormai alle cerchia troppo ristrette di Ginevra, volle recarsi a Londra, ove giunse sul finire del 1865. Egli avrebbe voluto stabilirvisi definitivamente, ma non tardò ad accorgersi che il mondo artistico inglese era un mondo chiuso, del quale bisognava fare un lungo, laborioso assedio. Ebbe poche commissioni, previde difficile il rimanere e non si accinse a grandi lavori, limitandosi a studiare l'arte antica nelle Gallerie (sua costante abitudine) e a disegnare quotidianamente per le vie e le piazze di Londra. Fece, con questi disegni, due serie di acqueforti, vendute agli editori di quella città, - come nel 1853 aveva eseguito per editori ginevrini varie serie di vedute di Ginevra e dei dintorni del Lemano, in litografia. Esaurito le immediate occasioni di qualche profitto e altre non prevedendone, dovette ricredersi sui sogni di un lieto avvenire a Londra e ricordò ad alcuni uomini politici italiani, suoi antichi amici, una loro solenne promessa di dargli un incarico d'insegnamento in una delle nostre Accademie di Belle Arti. Gli fu risposto che venisse, e partì per Firenze nel 1867. Ivi passò un anno e mezzo, incredibilmente fecondi. Vi era già conosciuto per avervi trionfato nella Esposizione Nazionale del 1861, e un generosissimo suo amico, il pittore Cristiano Banti, lo volle ospitare, gli diede un ampio locale di studio e molte commissioni. Nel 1868, il Ricasoli gli otteneva la Direzione dell'Istituto di Belle Arti di Lucca, con l'incarico di insegnarvi figura. Colà una lega di antichi interessi locali aspettava l'artista per impedirgli di insegnare e di vincere le quotidiane ostilità. La posizione essendo divenuta insostenibile per il temperamento dominatore dl Fontanesi e per le resistenze congiurate, implacabili, si finì col trasferire l'artista a Torino, con l'incarico di insegnarvi il paesaggio nell'Accademia Albertina. L'ambiente torinese, sebbene incomparabile più adatto che quello di Lucca, non era però scevro di spine e il nuovo maestro vi fu accolto con diffidenza, entro l'Accademia e fuori, la sua nomina avendo nuovamente ferito una quantità di interessi e di ambizioni. Ma egli, formatasi assai presto una buona scuola, sperava che i discepoli potessero vittoriosamente estendere l'influenza del suo ideale artistico, mentre lo sostenevano alcune illustri amicizie. Intanto l'insufficienza degli incertissimi guadagni e quella desolante dello stipendio lo impensierivano costringendolo nel 1876 a tentare di provveder meglio all'imminente a l'occasione d'una specie di concorso per nominare un Direttore dell'Accademia di Belle Arti che si stava fondando in Giappone da quel Governo, anche il Fontanesi fece la sua domanda e vinse il posto, lautamente retribuito, ma forse a lui fatale. Partì per Tokio nell'estate e rimase colà un po' più di due anni, lavorando assai per l'avviamento della sua scuola e per varie commissioni. Ma sopravvenne l'idropisia. Dopo una lunga infermità che lo ridusse più volte in punto di morte, si risolse a rinunziare all'incarico e partì per l'Italia. A Roma lo colse un funesto presentimento, non trovando più alcuno dei giovani artisti torinesi che ve l'avevano festeggiato al suo partire e che fatalmente erano morti nell'intervallo. Ripreso a Torino, sul finire del 1878, il posto di insegnante nell'Accademia, si riconfortò fra l'antica e nuova corona di giovani che riprese ad assistere con l'affettuosa esemplare sua assiduità. Contemporaneamente dipingeva moltissimi quadretti e opere maggiori, presentandosi poderoso e ammirabile alla grande Mostra Nazionale del 1880 in Torino. Ma non vi fu affatto compreso e questo colpo amareggiò infinitamente quei suoi ultimi anni, già minacciati da troppo frequenti ricadute nell'infermità che l'aveva assalito in Giappone. Morì nell'Aprile 1882, avendo dipinto con passione fino nelle ultime settimane, nelle brevi pause del male e nei brevi ritorni dell'antico vigore. La sua produzione incute un'alta meraviglia per l'abbondanza e per l'intrinseco pregio, come pure per un'inarrivabile facoltà di trasformazione progressiva, senza rinuncia alla propria originalità. La sua educazione, preparata esclusivamente dall'influenza italiana, giunta alla più forte virilità si rifece da capo su esempi francesi e inglesi moderni, ma non interamente, perché a completare l'artista contribuì piuttosto il suo culto per gli antichi. Quanto al suo insegnamento, prodigato in tanti luoghi e sotto tante forme, esso fu finora assai limitatamente fecondo, essendovi mancata forse la preparazione, e la sua scolaresca di Torino essendo stata quasi fatalmente dispersa: morti alcuni allievi, altri tornano esclusivamente alla figura, o incamminatisi per vie estranee all'arte. Ma l'esempio del Fontanesi potrà nuovamente risplendere, e fors'anche più efficace e più duraturo, quando la vera nozione del suo genio si faccia più estesa, quando non più soltanto qualche gruppo di studiosi o di amici, ma tutta l'Italia, ma tutta l'Europa artistica lo proclameranno con profonda convinzione il restauratore del sentimento nobile, della composizione e del chiaroscuro, il massimo e più sapiente pittore-poeta dell'Italia moderna.

Bibliografia

A.M. Comanducci - Pittori italiani dell'Ottocento - Milano 1934
A.M. Comanducci - Dizionario illustrato pittori e incisori italiani moderni - II ediz. Milano 1945
A.M. Comanducci - Dizionario illustrato pittori e incisori italiani moderni e contemporanei - III ediz. Milano 1962
L. Servolini - Dizionario illustrato incisori italiani moderni e contemporanei - Milano 1955
L. Servolini - Incisione italiana di cinque secoli - Milano 1951

M. Bernardi - Climi a artisti - Torino 1929

L. Ozzola - La Litografia italiana - Roma 1929

C. Ratta - Acquafortisti italiani - Bologna 1929

M. Calderini - Antonio Fontanesi pittore paesista - Torino 1901   1929

A. Stella - Pittura ecc. in Piemonte - Torino 1893

M. Bernardi - Fontanesi - Milano 1933

Thieme Becker  - Kunstlerlex - 1916

U. Ojetti - Ritratti d'artisti italiani - 1911

L. Chiappino - La Litografia in Torino - 1939

L'Arte in Italia - Torino 1869

Illustrazione Italiana - 1882

 

Catalogo IV Esposizione Internazionale d'arte della Città di Venezia - 1901

Opere

Il lavoro della terra - Pinacoteca Corrado Giaquinto di Bari

85 opere, tra oli, dipinti e litografie - Galleria d'Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza



 

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